Giuseppe vecchio (1928 - 2004)

Pubblicato il 9 maggio 2022 • Biografie

L'apertura della Villa Comunale nell'Agosto del 1967 fu un vero e proprio evento che, trova ancora oggi posto nei ricordi di molti, così come il nome di Giuseppe Vecchio più propriamente conosciuto come "Pino ti la Villa". Proprio così, Giuseppe era identificato con la Villa, anzi proprio quelli che lo conoscevano bene ne parlavano come se gli appartenesse. Ciò che molti non sanno (perché quelli che sapevano non ci sono più) e che Giuseppe Vecchio fin dall'età di 5/6 anni era venuto a vivere con il padre e la madre in quella che prima di diventare Villa Comunale, era il giardino dell'illustre Don Agostino Carissimo. Al centro di quel giardino c'era una casa secolare, attorno alla quale ruotavano storie e leggende di ogni genere. Si componeva di solo due stanze con ingresso separato, ed aveva un fumaiolo così alto da ricordare il campanile di una chiesa. Qui Giuseppe aveva imparato dal padre a lavorare e ad avere rispetto della terra sempre pronta ad elargirti in cambio i suoi doni. Quando il padre era venuto a mancare aveva continuato da solo, forte del bagaglio che aveva ereditato. Così quando Don Agostino Carissimo vendette il giardino al Comune di Francavilla Fontana, raccomandò Giuseppe Vecchio e propose che fosse assunto come custode della Villa Comunale che doveva essere realizzata. Era noto a tutti che nessuno, meglio di quel rispettoso e abile giardiniere, conosceva ogni angolo e ogni zolla di quel giardino. Fu così che "Pino ti lu sciardinu" diventò "Pino ti la Villa". Come custode egli doveva provvedere all'aperture e alla chiusura della Villa e doveva vigilare affinché non fossero danneggiate le piante e le opere in generale già esistente. Di fatto Giuseppe, assieme agli operai, si occupava anche di lavori di manutenzione e quindi, della potatura, della pulizia delle aiuole e viali, etc. Fu improntato anche un vivaio in cui si interravano i semi di ogni tipo di fiore e ci si prendeva cura di piante stagionali, arbusti ed alberi che poi venivano messi a dimora in Villa. Con la realizzazione della seconda parte della Villa, il lavoro si moltiplicò. Ma Giuseppe era instancabile, non lamentava mai la stanchezza e non si fermava fino a quando non aveva completato quanto iniziato. Era diventato un tutt'uno con la Villa. Coloro che lo hanno conosciuto lo ricordano piegato a prendersi cura di terra e piante, oppure in piedi su una scala intento a potare o modellare un albero, o ancora impegnato ad innaffiare le aiuole. In alcuni periodi rientrava in casa solo per pranzare e finalmente la sera per cenare e andare a letto. La sua famiglia non protestava per la sua assenza e tutti sapevano dove trovarlo quando avevano bisogno di lui. Anche i suoi figli vivevano di riflesso quel lavoro, con la stessa passione ed interesse. I più piccoli poi parlavano della Villa come di una loro proprietà e giù litigate con chi, tra i coetanei, asseriva che la Villa era di tutti. Intanto, poiché la Villa era stata realizzata su un livello diverso, circa 70cm più in alto rispetto alla casetta in cui abitavano, accadeva che quando pioveva le acque defluivano davanti alla casa. Nel dicembre del1973, Giuseppe fu pertanto costretto a lasciare la vecchia casa al centro della Villa, quella casa che lo aveva visto piccoletto, poi diventare uomo, ma che soprattutto aveva visto nascere e crescere i suoi cinque figli. Andò ad abitare ad un tiro di schioppo, ossia, in una delle case comunali in Via Luigi Raggio, proprio di fronte ad uno dei tre cancelli della Villa. La Villa era per Giuseppe quella che per un pittore è la sua tavolozza, una superfice sulla quale creare diverse tonalità, sfumature, miscelandole tra loro. La sua tela era la terra; i colori erano piante e fiori; i pennelli erano zappa, rastrello e forbici. Così creava straordinarie prospettive e cromie. Fiore e piante cambiavano col cambiare delle stagioni e per questo, le aiuole erano una continua sorpresa e rivelazione, mentre i viali, a loro volta, sempre puliti erano incorniciati dalle siepi. Di quanto fosse bella la Villa Comunale se ne parlava ormai dappertutto, dai paesi vicini si spostavano per venire ad ammirarla e passeggiarci. Durante l'estate poi, i parenti dei residenti che venivano in vacanza dalle diverse parti d'Italia, cercavano Giuseppe per complimentarsi con lui. La Villa era diventato luogo preferito dove ritrovarsi e incontrarsi. Si andava in Villa non solo per passeggiare, respirare aria pura, lasciarsi inebriare dal profumo dei fiori, ma anche per legge, scattare foto, gustare un gelato. Le famiglie portavano i più piccoli a giocare, i fidanzati vi si davano appuntamento e gli anziani avevano trovato una angolo di paradiso in cui incontrarsi per ricordare i tempi passati. Le panchine, non erano mai vuote, anzi c'era la corsa alla panchina non appena se ne liberava una. Ma quelli che davano un gran da fare a Giuseppe erano i ragazzi tra i 7 e i 12 anni. Nonostante il divieto di entrare in bicicletta o di giocare con il pallone, i più furbetti e turbolenti aspettavano che lui si spostasse in un altro viale per fare una corsa in bicicletta o per tirare fuori un pallone che, inevitabilmente, finiva contro un lampione rompendo, oppure nelle aiuole che venivano calpestate nella fretta di recuperarlo. Giuseppe li rimproverava bonariamente e poi informava le famiglie. Con la famiglia del responsabile del danno invece concordava la punizione che, il più delle volte, consisteva nel divieto di entrare nella Villa per un mese. Ma di fatto, dopo appena una settimana il monello era già tornato a giocare in Villa con il consenso di tutti. Giuseppe era affezionato a quei ragazzi che vedeva crescere giorno dopo giorno e si comportava con loro un po’ come se fossero figli suoi. Cercava di far capire loro che tutto quello che avevano avuto gratuitamente e che comunque era il frutto della fatica di tanti, andava apprezzato, ma soprattutto custodito. Ancora oggi tutti lo ricordano con affetto e riconoscenza, ma anche con tanta nostalgia. Era diventato suo malgrado, un personaggio pubblico semplicemente per la forza, la passione e la dedizione che metteva in quello che faceva. L'appellativo di: "artista della Villa" gli era stato dato invece da numerosi concittadini. In verità, Giuseppe non scrisse libri o trattati di botanica, né opere letterarie, non dipinse su tela, né scolpi il marmo, ma in modo semplice adoperò quanto la natura gli offriva per le sue rappresentazioni. Le sue opere non sono mai state esposte in una galleria d'arte, ma si potevano ammirare di giorno in giorno, di stagione in stagione, di anno in anno, senza pagare il biglietto d'ingresso, ma gratuitamente, attraverso la Villa percorrendo i suoi viali. Non ci sono stati fotografi di grido che hanno immortalato la sua arte, ma la si può ammirare ancora nelle cartoline di qualche amatore o negli scatti che tantissimi concittadini  hanno fatto in occasioni di eventi come prime comunioni, cresime e matrimoni. Giuseppe non adoperava lo scalpello, ma grosse forbici per modellare alberi, cespugli, arbusti, siepi. Tutto questo ha fatto di lui "l'artista" che moltissimi ricordano, ma che nessuno ha mai omaggiato in alcun modo.


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